Cristo si è fermato a SanPa

Stefano Diana
6 min readFeb 17, 2021
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SanPa è un documentario tessuto di tre fili.

1. Un racconto storico che pare inventato: la vita a stento credibile di un uomo straordinario sotto ogni profilo.

2. Un racconto epico senza tempo: la lotta ai confini dell’umano, stavolta nella estrema periferia dell’anima borghese.

3. Un racconto allegorico sul potere.

L’azione si svolge in un territorio psichico di fenomeni estremi. Le emozioni infuriano, il caos turbina e trascina via le persone e le cose. Famiglie e amicizie bruciano, le case paterne sono devastate a caccia di denaro dalle mani febbrili dell’astinenza. Tutto è dolore e morte imminente. La civiltà è una comparsa, seduta a fumare una sigaretta ai margini del campo.

Quando la disperazione è al colmo si presenta un cristone romagnolo coi baffi, tale Vincenzo Muccioli, che dice di poter salvare questi ragazzi con l’amore duro e puro. Li accoglie gratis. Se ne prende cura, uno per uno, a centinaia. Costruisce con loro una famiglia alternativa, un piccolo regno. E li salva davvero.

La fama del miracolo corre per l’Italia. Ai cancelli di San Patrignano dall’inizio degli anni ’80 si affollano a migliaia giovani zombie bisognosi d’amore e di regola. Figli di ricchi imprenditori, di famosi attori, di persone normali — tutti genitori ugualmente presi alla sprovvista dalla sventura di avere un figlio drogato.

Genitori piccoli, spaventati, sonnambuli, ignari di sé, integrati a loro insaputa in una macchina oliata dall’oblio di sé. Ciechi che generano altri ciechi, prigionieri che generano altri prigionieri. Incapaci di allevare esseri umani liberi, si ritrovano anch’essi preda dei mostri che possiedono i loro figli. L’eroina è un napalm che passa e scarnifica i ragazzi, mette a nudo le ossa e i tendini e il vuoto cosmico che hanno dentro e intorno.

Ma da dove viene tutta questa merda colpevole? Mica è arrivata da sola nelle strade. I protagonisti riferiscono che a un tratto i cari vecchi spacciatori di droghe leggere da hippie spariscono, mentre al loro posto compaiono ceffi con l’Alfetta e gli occhiali scuri che insieme al fumo regalano una pallina di brown sugar: l’innesco. Il resto più o meno vien da sé. Una diffusione di eroina a basso prezzo troppo sistematica e tempestiva, fa pensare che sia autorizzata e diretta dall’alto. I signori desiderano? Spegnere la generazione e le speranze dei tempi creativi e innocui dell’erba, grazie. Annegare i deboli nel Lete, in una palude mortifera.

Lo Stato è molto probabilmente complice o mandante, con la mano sinistra. Se con la destra provvede ai drogati, lo fa con prigione e metadone. Senza ombra d’amore, che invece è proprio ciò che serve come il pane. In mezzo a questa desolazione, Muccioli è il messia circonfuso di luce. Drogati e genitori non avranno altra speranza di salvezza all’infuori di lui.

La legge laica non ce la fa a star dietro a questi prodigi soprannaturali. Mostra la corda della cosiddetta civiltà, i suoi limiti di comprensione — nel doppio senso di trovare il senso e di accogliere in sé.

I paradossi emergono molto chiaramente dalla sequenza dei processi a Muccioli, sin dalla prima accusa. Alcuni ragazzi sono stati tenuti in catene. È giusto, è sbagliato? È ammissibile o inammissibile? Le madri e i padri gridano davanti al tribunale, loro non hanno dubbi: si può fare senz’altro eccezione al principio della legge uguale per tutti, quando questa eccezione sta salvando la vita di tuo figlio e non ci sono alternative. Anzi, magari è la legge generica ad essere sbagliata, e il caso particolare è la giustizia.

I PM sono in difficoltà a tenere una linea coerente. I nitidi principii illuministi su cui è costruito lo stato di diritto appaiono cinici e irreali. Che cosa sarebbe questa “libertà” che difendete? Un drogato è una “persona libera” che non si può trattenere contro la sua volontà? Oppure un drogato al limite è più libero quando è legato, in quanto già si trova in una condizione di profonda illibertà? E la risposta a questo specifico dilemma relativo a un eroinomane, si può estendere ad altri deragliamenti? E chi è autorizzato a emettere giudizi in queste condizioni?

Se avessi avuto una finestra mi sarei gettato, ammette uno dei personaggi-guida. Tutti eroi tragici di primissima grandezza, morti e risorti più volte in una sola vita, che dimostrano come lo spirito della tragedia rinasca di continuo dalla cenere razionalista sotto cui Nietzsche lo pensava sepolto per sempre. Preferisco che mi tengano chiusa i primi giorni, dice una ragazza inebetita fra i tanti che ai cancelli di San Patrignano aspettano al freddo l’assenso di Muccioli, spinti da un ultimo barlume di vitalità. Legatemi e salvatemi: non dice questo, nel fondo del suo cuore, ogni persona dipendente da qualcosa?

Solo riconoscere le debolezze degli esseri umani è salvifico. Pretendere che si conformino a un modello ideale li umilia e li uccide.

Non posso non pensare al presente. Oggi le dipendenze sono tantissime, infinitamente più di allora, e più sfuggenti. Gli stili di vita, i social, le serie tv, il narcisismo, la bellezza, la palestra, il successo, il cibo, oltre al vecchio alcol e alle droghe moltiplicate in migliaia di varianti chimiche. La dipendenza nella nostra società iperstimolata, costruita precisamente sullo sfruttamento delle debolezze umane, è la normalità.

Sempre più insistente bussa il dubbio: esiste davvero la famosa Libertà con la maiuscola di cui continuiamo a parlare in sogno? Esiste davvero la famosa Ragione assoluta, impersonale, disincarnata, che predicavano secoli fa dei tipi molto intelligenti ma forse un po’ ebbri delle loro idee? Non è piuttosto la nostra più simile a quella «pallida ragione» sotto un «manto d’ignoranza e di grette chimere» che sfidava Rimbaud?

L’annichilimento di quei ragazzi e dei loro parenti mi è così familiare, anche se non mi sono mai infilato un ago in vena. Noi caduti da grembo di donna, così ciecamente legati gli uni agli altri e alla vita, siamo tutti un po’ incapaci di intendere e di volere. Ai sensi dell’articolo 643 del Codice Penale, che punisce la circonvenzione d’incapace, nessuno dovrebbe approfittare della nostra debolezza. E invece l’art. 643 è grezzo: ci divide in “razionali” e “incapaci”, come le caste di un romanzo fantasy. Questo significa solo una cosa: che non parla di noi.

Non è più legge arcaica, espressione di una ruvida e pragmatica saggezza prossima alla natura; e non è ancora legge attuale, dato che la sua etica è fatta di concetti astratti, ignora come funzionano realmente i nostri corpi. È una legge che in un certo senso è già fatta per robot. Una legge che spera in un mondo di robot dove possa esercitarsi automaticamente, senza dilemmi come quelli atroci e non calcolabili che sgorgano da SanPa. Ma allora chi si occuperà di noi, se non un altro messia?

Alla fine, dicevo, SanPa è un’allegoria sul potere. Non solo cosa sia il potere di uno su un altro, ma come il potere deformi le persone e la storia. Muccioli si trasfigura in una divinità pagana, i suoi vizi e le sue virtù diventano abnormi e leggendari. Crescendo i numeri l’amore si diluisce, il denaro esorbita, l’organizzazione interna di SanPa si complica, si formano tirannidi locali. Avvengono torture e suicidi. Infine un omicidio efferato, quello di Roberto Maranzano. Difficile dimenticare l’immagine del suo corpo martoriato, un Cristo complementare a Muccioli, di segno opposto. Si compiono rese dei conti personali, che viste da un’altra angolazione sono atti di giustizia, e viste da un’altra angolazione ancora sono tradimenti. I narratori che hanno amato e odiato e amato Muccioli se ne vanno, portando in sé, da qualche parte, la consapevolezza che gli devono la vita. Il messia muore di nascosto, con un doppio colpo di scena finale.

La verità resta indeterminata. La storia continua.

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Stefano Diana

Researcher / author / creative / comp-sci. Relentless explorer of the calculable | incalculable frontier across all fields.